sabato 17 dicembre 2016

P.E.T.O. (Perché Esiste Troppo Orgoglio)

P.E.T.O. (Perché Esiste Troppo Orgoglio)


Lo sappiamo, il peto è naturale, tutti ne facciamo nostro amico fedele sotto le coperte d'inverno ed al contempo nostra nemesi appena l'odore risale verso le narici. Il peto è vergogna, fallo a scuola o in un posto di lavoro e diverrai per sempre "lo scorreggione", sarà poi molto difficile togliersi quel soprannome dalle spalle. Il peto è intimo, perché si cerca di farlo sempre quando si è soli con se stessi, e una volta rilasciato lo si commenta con gradazioni differenti in base a rumore o odore.
P.E.T.O. (Perché esiste troppo orgoglio), un racconto di Carlo "Charlie" Capotorto
Peto d'Artista - immagine da web
Ma pochi ne parlano, il peto rimane ben nascosto tra le pieghe del culo di ogni benpensante che è troppo intento a strapparsi le sopracciglia e pettinarsi la barba. Ma quando un giorno, piegato a novanta gradi per sistemare un risvoltino, ad Andrev Lobomotov partì un fiato a trombetta (poco puzzolente, rumore acuto solitamente calante) si vergognò così tanto che dapprima si tappò in casa e poi, dopo una breve ricerca che spaziò da Wikipedia alla Treccani, sembrò esser divenuto il massimo studioso di petologia.
Trovò nelle patatine fritte e nella Sprite i suoi più grandi amici quando scoprì che grazie a loro poteva avere delle riserve di gas virtualmente illimitate. Si esercitava regolarmente nello sfiatare diversi generi di peti, dalle loffie (silenziose e letalmente puzzolenti) ai tromboni (molto rumorose e mediamente odorose) anche se talvolta capitavano sgommate (poco rumore, poca puzza ma cacchetta nelle mutande) che lo costringevano a cambiarsi le mutande. 
Si teneva costantemente informato su tutto ciò che riguardava quel suo nuovo mondo: lo sbiancamento anale, il silenziatore di scoregge, il profumatore da applicare come un proteggi slip alle mutande, ma nulla lo entusiasmava tanto come registrare ogni suono che sentiva per poi tentare di riprodurlo con le chiappe, proprio come l'eroe di ciò che recentemente era divenuto il suo film preferito: "Il petomane". 
Cercò di tramutare tutto questo in un lavoro, ma oltre a qualche brevissimo spettacolo durante sporadiche serate di improvvisazione teatrale ed un'unica data al Circo Togni finita a pomodori marci sulla schiena non riuscì a trovare il modo di attirare l'attenzione del pubblico. In pochi erano interessati a sentire i peti di Lobomotov seguire la "Sonata al chiaro di luna" di Beethoven, così nel giro di poco tempo tutti si dimenticarono di lui, e lui si dimenticò dei suoi peti.
La gente del paese non poteva ammettere che possedeva un dono e lui presto perdette la giovane forza di seguire le sue curiosità. L'orgoglioso bielorusso crebbe in un noioso impiegato e la sua vita non divenne troppo diversa da quella di una qualsiasi altra persona, gli studi sul peto e gli oggetti collezionati finirono in una scatola e poi dimenticata in soffitta; tutto era finito in un soffio... o meglio, in un peto.

Fine

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